In un’Italia sempre più in crisi economica, vittima della crescente inflazione che imperversa da qualche anno a questa parte, la questione riforma della remunerazione dei dipendenti pubblici è balzata agli onori della cronaca.
Il Ministro della Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha messo sul tavolo una riforma alquanto ambiziosa della remunerazione dei dipendenti pubblici. Essa è finalizzata a premiare sia la produttività che il merito tramite progressioni di carriera ed aumenti economici. Una strategia che, al momento, risulta frenata dai tetti salariali imposti nel 2016.
Nel 2018 sono stati congelati i fondi del salario accessorio al 2016: chi aveva fondi più consistenti, di fatto, poteva erogare indennità e premi maggiori. Mentre chi ne aveva di meno, purtroppo, è rimasto bloccato. Questo rappresenta una sorta di tappo che blocca le politiche retributive delle amministrazioni.
C’è, dunque, l’urgenza di eliminare questi vincoli per due motivi specifici: per favorire la flessibilità delle politiche retributive e per avere una maggior attrattiva per i talenti. Tutto ciò consentirebbe di alimentare la cultura del lavoro fondata su performance e responsabilizzazione del dipendente anche nelle pubbliche amministrazioni.
Resterebbero, però, da fissare criteri equi e trasparenti che contribuiscano a valutare oggettivamente le prestazioni lavorative dei dipendenti per poi premiare i più meritevoli, evitando così di dare spazio a conoscenze e/o favoritismi.