Il sistema sanità pubblica in Italia fa acqua da tutte le parti, come evidenziano le statistiche relative ai professionisti che mancano all’appello. Una crisi che viene da lontano, figlia delle scellerate decisioni prese dalle più alte cariche istituzionali, che si sono succedute di governo in governo, e di una spending review che ha finito per danneggiare una tra le strutture più di fondamentale importanza nel nostro Paese.
I professionisti della sanità operano in condizioni lavorative precarie e le retribuzioni sono tra le più basse in Europa: tutto ciò ha, di fatto, incentivato l’esodo verso nazioni più attrattive sotto questi due punti di vista. Prima della Brexit, non a caso, molti medici e infermieri sceglievano la Gran Bretagna per i sopracitati motivi.
Parlandone in termini strettamente numerici, infatti, mancano all’appello ben 4.500 medici ospedalieri e 3.000 di medicina generale, senza dimenticare i 10.000 infermieri mancanti. Un numero abnorme che finisce per incidere sulla qualità del servizio offerto ai degenti.
Bisogna, dunque, lavorare per bloccare l’esodo dei professionisti, garantendo risorse ai nosocomi italiani. Come rendere realtà tutto ciò? C’è bisogno innanzitutto di misure forti, rafforzando gli organici ed evitando di ricorrere ai medici gettonisti. C’è necessità di sbloccare il tetto di spesa per assumere personale, aumentare le retribuzioni, introdurre incentivi ed utilizzare, adeguatamente, l’importante strumento della defiscalizzazione. In tal senso va letto positivamente l’aumento dell’indennità di specificità a tutti i dirigenti medici.
Auspichiamo, dunque, che venga risanata la sanità pubblica nazionale e che essa rappresenti davvero quel modello di giustizia sociale che l’Italia insegue, invano, da tempo.